La Droga nel Mondo Antico
Quando si cresce si tende a pensare che la generazione dopo la nostra sia quella peggiore, perché si sviluppa e relaziona in modo diverso alla società rispetto a noi, cresciuti magari con meno tecnologia e più fantasia.
Ma l'istinto di base è pur sempre quello di adattarsi alla fine della sopravvivenza, sfruttando al meglio i vantaggi del nostro momento storico.
Immagino che molti guardino il passato più o meno nella stessa prospettiva, ovvero avendo una sorta di presunzione moderna che l'essere tecnologicamente più avanzati ed esposti alla conoscenza abbia creato nuovi problemi per la società.
Da questo presupposto posso dire con certezza che “tutto cambia per rimanere uguale”.
Difatti più si ha conoscenza degli avvenimenti della nostra storia più ci si tende a rivedere.
Al di là dei litigi politici dei parlamentari romani che si prendevano a sediate nei dibattiti per le questioni agrarie; alla nascita del nepotismo; questioni di commercio e rapporti internazionali con i 'cives' non romani (cittadini senza la cittadinanza romana); i giovani studiosi che utilizzavano i primi 'codex' per fare risse tra i coetanei come fossero strumenti di guerra per manifestazioni sociali(la nascita del libro o 'codice' per come noi lo conosciamo preoccupava molto i suoi contemporanei,perché appunto veniva visto come una sorta di tecnologia dannosa per il tempo, che portava dei vantaggi, ma anche dei problemi); etc.
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Pensate che in epoca Repubblicana, addirittura vi erano leggi che vietavano la circolazione e lo spaccio di droghe, ed erano classificati come crimini pubblici ('Crimina'). Mi sono imbattuta per caso in essi, difatti stavo studiando la categoria dei 'crimini comuni' introdotti dalle 'Leges publicae populi Romani', tra cui spuntava il 'Crimen Homicidii' (l'omicidio inteso come uccisione volontaria di un uomo libero) risalente alla 'Lex Numae'.
Tuttavia una 'Lex Cornelia de sicariis et veneficis' del periodo di Silla , introduce nuove ipotesi di omicidio doloso e di attentato all'integrità fisica dei cittadini, tra cui: fabbricazione e spaccio di sostanze venefiche; incendio doloso; magia; castrazione; e porto d'armi a scopo di omicidio.
Si, avete letto bene, anche la magia era considerata un crimine pubblico che attentava all'integrità dei cittadini. Ma questa cosa tenderà a crescere con lo sviluppo e l'influenza del Cristianesimo, soprattutto nel periodo del Dominato, con la lotta alla repressione del Paganesimo.
Questa legge invece risale ad un periodo molto antecedente, infatti qui si intendeva come magia, qualcuno che ti portasse a fare qualcosa contro la tua volontà tramite la persuasione, oppure la somministrazione di droghe o veleni a qualcuno i cui effetti venivano attribuiti alla magia, ad un incanto malefico.
Per quanto riguarda il discorso 'droga' invece, dobbiamo specificare che per i romani la dicotomia tra droga e veleno andava a braccetto, infatti una sostanza doveva essere somministrata ad una quantità superiore rispetto alla norma per essere considerata come veleno o droga, portando così ad un danno momentaneo o permanente all' integrità fisica della persona, o addirittura alla morte.
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“Che droghe si usavano nell'antica Roma?”
Se si vuole intendere la domanda con un occhio moderno, troveremo sorprendente sapere alcune sostanze stupefacenti di oggi, ad esclusione delle droghe chimiche moderne, circolavano a Roma.
Infatti molte testimonianze ci riportano l'uso di oppiacei, canapa, e sostanze allucinogene come funghi o piante.
Le sostanze più in voga all'epoca erano quelle derivate dai papaveri, appunto gli oppiacei.
Ne parlano per prime infatti delle tavolette sumeriche del terzo millennio a.C., in cui si parla di 'capsule di papavero' nei cilindri babilonesi, cretesi e micenei. Gli egizi lo consideravano come un analgesico e calmante. Perfino l'Odissea la cita.
Il papavero era coltivato in Spagna, Grecia, Africa, Egitto e Mesopotamia.
Ed arriverà a Roma proprio dopo la conquista della Grecia, avvenuta appunto agli inizi del periodo Repubblicano con le guerre puniche.
Mi sento orgogliosa di specificare che quando si parla di Grecia antica, non si parla solo della attuale Grecia, ma della 'Magna Grecia' che comprendeva anche tutto il sud Italia.
E di conseguenza penso che a facilitare la circolazione di queste merci sia stata anche la costruzione della 'Via Appia' nel 312 a.C. , che collegava Roma a Capua, Benevento, Taranto, e Brindisi.
Difatti era una delle rotte commerciali più importanti.
Sono molte altre ancora le fonti che parlano dell'oppio nell'antichità: come Plinio il vecchio nella 'Historia Naturalis' che descrive il modo di estrazione di esso dal papavero; Virgilio che nelle 'Georgiche' descrive la pianta come donatrice di un “sonno che reca l'oblio”; nel I secolo a Roma, Andromaco, medico personale di Nerone, inventa un farmaco basato su di esso, la 'Terica', basandosi sulla formula del medico personale di Mitridate, che l'aveva creata come antidoto contro il veleno; Galeno, il più famoso medico dell'antichità romana, ne crea una nuova versione, più forte; Traiano ne beveva grandi quantità; e Marco Aurelio ne sviluppò anche una dipendenza.
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Del resto tutto ciò non dovrebbe sorprenderci molto considerando che da noi l'uso di oppiacei quotidiano si è protratto fino al secolo scorso.
Il termine 'Papagna' che nella mia zona è sinonimo di 'sonnolenza', deriva proprio da questo.
Infatti i rimedi delle nonne di tutta Italia vedevano usare questo ingrediente per far spesso calmare i neonati, mettere a tacere il mal di denti e mal di pancia, e per curare l'insonnia.
Per ogni regione d'Italia vi era un metodo diverso di impiegarlo e denominarlo, c'era chi lo bolliva, chi lo faceva succhiare con uno straccio ai bambini, chi ne traeva infusi, chi lo adoperava come spezia, etc.
Da regione a regione cambiava anche la parte della pianta usata, chi dai semi, chi dai petali, chi dai fiori e dallo stelo, o addirittura da tutto.
A questo punto penso che non dovrebbe più sorprenderci nulla del passato, “nulla di ciò che brilla sotto la luce del sole è nuovo” perché “tutto cambia per rimanere uguale”.