In quasi tutte le occasioni gli argomenti trattati all'interno della trasmissione di approfondimento giornalistico "Report", ideata e condotta a lungo da Milena Gabanelli e ora nelle mani di Sigfrido Ranucci, sono rimbalzate agli occhi e alle orecchie dell'opinione pubblica come una sorta di verità assoluta.

Altre invece, in realtà una decisa minoranza, i temi scomodi proposti dal team di mamma RAI hanno suscitato l'indignazione di qualche personaggio influente proveniente dal governo o dalla politica in generale, tanto da essere fronteggiati con accese critiche pubbliche.

Nella totalità dei casi tuttavia, l'effetto scaturito dalle oltre due ore dell'appuntamento con Report è stato grossomodo sempre lo stesso: un grande clamore mediatico. Nel bene o nel male, che si ritenessero le inchieste di Ranucci e della sua squadra approfondite e valide, o superficiali e infondate, il giorno dopo, l'argomento finiva su tutti i giornali. Almeno fino a ieri.

Come abbiamo imparato da piccoli, ogni regola ha la sua eccezione, e all'alba del 18 aprile 2023, i fatti narrati all'interno della puntata del giorno precedente da una delle trasmissioni di punta della TV di Stato, nonché le parole ascoltate dalla viva voce dei protagonisti dell'epoca, non hanno interessato pressoché nessuno. Peccato, perché da un punto di vista di ricerca della verità, risultano potenzialmente in grado di riscrivere del tutto un'importante fetta della storia sportiva italiana.

E quale tema potrebbe assumere un ruolo così importante se non le vicende che hanno trasformato globalmente il nostro calcio, ormai diciassette anni fa, in seguito alla vicenda di Calciopoli? Per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, lo scandalo ribattezzato dalla stampa dell'epoca come "Calciopoli" si riferisce ad una serie di indagini che portarono alla luce rapporti a dir poco controversi tra numerose società calcistiche e il mondo arbitrale.

A pagare il prezzo più alto da quell'inchiesta fu la dirigenza della Juventus, radiata a vita dal mondo del calcio, nonché l'intera società bianconera, ritenuta organizzatrice di un sistema fraudolento in grado di condizionare interi campionati e per questo motivo retrocessa d'ufficio in Serie B e privata degli ultimi due scudetti conquistati sul campo.

Ma il sistema attribuito a Moggi e alla Juventus fu davvero così grave e sleale come la storia ce lo ha venduto per tutti questi anni? E soprattutto, è corretto affermare che tutte le altre protagoniste della vicenda siano state punite in maniera equa rispetto a quanto combinato? Le risposte sono a disposizione di tutti da diciassette anni, e quanto emerso nella puntata di Report può forse rappresentare una novità per i più giovani o i più "distratti", ma non certo per chi di quell'inchiesta fu ad ogni livello "vittima".

Per chi volesse vederci più chiaro, ecco la ricostruzione dei fatti, certificata anche dai giornalisti di Report.

Calciopoli nasce "concettualmente" il 5 maggio del 2002, giorno in cui, all'Olimpico di Roma, l'Inter perde all'ultima giornata uno scudetto che sembrava già in tasca, soccombendo 4-2 in casa della Lazio. L'allora proprietario del club nerazzurro, Massimo Moratti, decide così di convocare a casa sua il designatore arbitrale, Paolo Bergamo, per lamentarsi di presunti arbitraggi negativi ricevuti dalla propria squadra.

Il petroliere era stato messo in stato d'allerta già da qualche tempo dal suo collaboratore numero uno, Giacinto Facchetti: egli sosteneva di aver ricevuto delle importanti confessioni da parte dell'arbitro Nucini, secondo le quali il Direttore Generale della Juventus, Luciano Moggi, grazie alla sua influenza sui designatori arbitrali, decideva la carriera dei vari direttori di gara, in base al trattamento riservato alla Juventus.

Il patron del club nerazzurro affida allora a Giuliano Tavaroli, capo della security Pirelli, il compito di verificare la veridicità della storia, e lo stesso investigatore redige un'informativa che consegna ai carabinieri. Il tutto finisce sul tavolo del Pubblico Ministero della Procura di Milano, Ilda Bocassini, che non rilevando elementi validi per aprire un fascicolo di inchiesta, archivia il tutto piuttosto in fretta.

Ma Moratti non è soddisfatto e insiste affinché Tavaroli continui con le sue indagini, fatte di intercettazioni illegali e pedinamenti nei confronti di Moggi, Bergamo ed altri personaggi del calcio italiano (cosa che ha portato successivamente ad una sentenza di risarcimento danni da parte dell'Inter alle vittime).

La cosa, con straordinaria analogia rispetto agli ultimi fatti accaduti, arriva alle orecchie dei Pubblici Ministeri della Procura di Napoli, desiderosi di una sorta di vendetta sul sistema calcistico e nei confronti dell'allora presidente federale Franco Carraro, reo di aver spedito la squadra in Serie B in seguito al fallimento societario.

A far da occhi e orecchie per la procura, con il fine di realizzare il progetto del cosiddetto "ribaltone" (detto in parole povere, mandare in alto chi non vinceva mai come Inter e Roma e spedire all'inferno le più forti) ci pensa l'allora direttore generale della Roma, Franco Baldini, che intraprende una serie infinita di colloqui con i carabinieri della capitale.

Si arriva così a maggio del 2006, quando la Procura di Napoli iscrive nel registro degli indagati oltre a Moggi e Bergamo anche il presidente della FIGC, Franco Carraro, mentre il neonato governo Prodi insiste con il CONI per commissariare la federazione e per spedire a capo della stessa proprio un ex dirigente dell'Inter, Guido Rossi, destinato dopo un anno a diventare presidente della Telecom, società appartenente al vice-presidente nerazzurro, Marco Tronchetti Provera.

Dopo le penalizzazioni di Juventus e Milan, coinvolte seppur a livello differente nell'indagine, lo scudetto 2006 viene revocato ai bianconeri e assegnato dalla commissione di saggi istituita da Guido Rossi proprio all'Inter, che quel campionato aveva concluso al terzo posto, quindici punti dietro alla Juventus.

Ma quali erano le prove che avrebbero certificato il sistema fraudolento messo in piedi da Moggi e come sono state acquisite? La principale viene ritenuta quella delle schede SIM svizzere, distribuite dal dirigente della Juventus ai designatori arbitrali, Bergamo e Pairetto, i cui nominativi degli intestatari sono stati ottenuti tuttavia grazie ad una vera e propria manovra illegale e non tramite rogatorie internazionali, come previsto dalla legge, per di più redigendo un verbale falso che le collocava in territorio italiano.

Perché i personaggi in questione (oltra alla dirigenza bianconera erano compresi i designatori, alcuni arbitri e giornalisti) avrebbero avuto la necessità di comunicare tramite l'uso di SIM svizzere, di conseguenza non intercettabili? Secondo il tribunale di Napoli, come confermato anche dalla Cassazione, lo stratagemma serviva a Moggi per gestire una sorta di organizzazione, volta in qualche modo ad ottenere vantaggi personali e a favorire la Juventus da un punti di vista sportivo.

Tuttavia, degli undici arbitri finiti nel registro degli indagati, ne vengono assolti dieci, ovvero tutti tranne l'arbitro romano Massimo De Santis, ritenuto un sodale di Moggi, ma riconosciuto colpevole di aver in qualche modo influito sul risultato di due partite non inerenti la Juventus, Lecce-Parma e Fiorentina-Bologna. Al termine del processo penale non esistono prove di ulteriori partite aggiustate, di ammonizioni pilotate o di altri condizionamenti arbitrali e i campionati in questione, 2004/05 e 2005/06 vengono certificati dal tribunale come regolari.

Tutto molto strano, ma ad accendere una nuova luce sull'accaduto ci pensa il Pubblico Ministero dell'epoca, Giandomenico Lepore: l'inchiesta, iniziata (tanto per cambiare) sulla Juventus, stava per trasferirsi ad almeno altre dieci squadre di Serie A (tra le quali, in primis, l'Inter) ma una manina provvidenziale fece in modo che le intercettazioni fino a quel momento raccolte finissero al settimanale "L'Espresso" e che tutto di conseguenza si fermasse.

A finire nella bufera, volutamente o meno, è così solo la società bianconera anche se, come si scoprirà dalle informative uscite dalla FIGC qualche anno dopo, e come confermato dallo stesso Paolo Bergamo a Report, a chiamare i designatori arbitrali per far pressione sugli arbitraggi erano un po' tutte le squadre.

Alcune intercettazioni risultano clamorose, come quella tra De Santis e Bergamo dopo Juventus-Inter (terminata con la vittoria per 1-0 dei nerazzurri), nella quale l'arbitro si vanta di aver fatto il suo dovere, con un arbitraggio a favore dei nerazzurri, o quella tra lo stesso arbitro e un dirigente del Milan, con tanto di risate divertite del primo per aver mandato in silenzio stampa di protesta la Juventus.

E che dire del campionato precedente, con l'intercettazione del presidente Carraro, prodigo nel raccomandare al designatore che non venisse favorita in alcun modo la Juventus, rafforzata dall'immediata telefonata di Bergamo all'arbitro designato Rodomonti ("se hai un dubbio favorisci chi sta dietro, ovvero l'Inter")? Per la cronaca, quella partita terminò 2-2, anche grazie alla mancata espulsione, sul risultato di 2-0 per la Juventus, del portiere nerazzurro Toldo.

Nel sistema che riguarda l'Inter è coinvolto anche l'ex presidente Giacinto Facchetti, che in un colloquio telefonico con Bergamo chiede esplicitamente che l'arbitro Bertini, designato per la successiva partita di Coppa Italia, ritocchi la statistica delle vittorie nerazzurre, ricevendo ampie rassicurazioni dal designatore ("non ti preoccupare, è un ragazzo intelligente, ha capito come muoversi...")

Bergamo non chiama Bertini, ma lo stesso ex direttore di gara confermò al processo come ad effettuare le stesse pressioni, addirittura dentro lo spogliatoio e poco prima della partita, fu lo stesso Facchetti. Insomma, una bella differenza rispetto alla presunta verità raccontata negli anni e trasformata ormai in dogma dai vari media e dalle annuali interviste con i Bonolis e La Russa di turno.

E le altre grandi? Il Milan, che nei due campionati sotto esame poteva contare sul presidente Silvio Berlusconi, investito del ruolo di Presidente del Consiglio dei Ministri, e sull'Amministratore Delegato Adriano Galliani, presidente della Lega Calcio, non si faceva scrupoli tramite il suo addetto agli arbitri, Leonardo Meani, a fare pressione non solo con i designatori, ma anche direttamente con gli ufficiali di gara.

Tocca a Meani organizzare un incontro segreto tra Galliani e quello che viene considerato il miglior arbitro italiano, Pierluigi Collina, così come è sempre lui a far recapitare sul tavolo di Gianni Letta, uomo del governo Berlusconi, la richiesta di un favore per la società di energie rinnovabili appartenente ad un altro arbitro, Gianluca Paparesta, guarda caso terminato nell'occhio del ciclone per diversi arbitraggi smaccatamente favorevoli ai rossoneri.

Ma non solo, perché i tanto pilotati sorteggi arbitrali, altra priva regina del processo (con filmati tuttavia misteriosamente spariti e sostituiti con fotomontaggi taroccati ad arte) sembravano, da quanto emerge dalle intercettazioni, pane quotidiano per Meani e il Milan.

Ce ne sarebbe anche per Lazio e Fiorentina, le cui sorti finirono a cuore del presidente federale Carraro, pronto a raccomandare a Bergamo un occhio di riguardo per le due, ma il finale dell'articolo lo riservo per il lavoro del procuratore federale Stefano Palazzi, che nel 2011 sostenne, in relazione ai medesimi fatti, la tesi dell'illecito sportivo dell'Inter e della condotta censurabile di Facchetti, nonché tuttavia l'impossibilità di intervenire per avvenuta prescrizione.

Report avrebbe forse potuto affondare il colpo ancora di più (esistono ad esempio intercettazioni dove Meani chiede esplicitamente che i guardalinee tenessero giù la bandierina sui possibili fuorigioco del Milan), magari approfondendo una delle possibili chiavi di lettura (solo accennata) di quel procedimento assurdo, l'accordo commerciale in essere tra una parte del mondo bianconero e la galassia Moratti, finalizzato a spodestare Moggi e Giraudo (legati alla famiglia Agnelli) per favorire l'ascesa degli Elkann.

Come diceva Karl Marx, "la storia si ripete sempre due volte, la prima in tragedia, la seconda in farsa". Mentre scrivo questo pezzo è in corso il dibattimento presso il Consiglio di Garanzia del CONI sull'assurda penalizzazione inflitta alla Juventus per il caso plusvalenze. Ne parleremo domani, quando scopriremo se il filosofo tedesco aveva ragione, oppure no.

Statemi bene, alla prossima!

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