NAPOLI E IL CAFFÈ

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Ieri pomeriggio quando sono tornato a casa dal lavoro, mi sono ritrovato davanti una delle scene più tipicamente italiane: mia moglie che chiacchierava con una sua amica davanti a due belle tazze di caffè espresso fumante. La nostra ospite è di origini napoletane e anche se abita nel nord Italia da più di vent'anni non ha perso il suo spiccato accento partenopeo.
Le ho lasciate ciarlare in pace, ma mentre ero occupato nelle mie faccende personali mi è sorta una domanda: perchè il caffè è così strettamente legato proprio alla città di Napoli. Inoltre, perchè si dice che a Napoli il caffè è diverso?
Effettivamente è una storia che non conosco, ma che tutti dovremmo conoscere, per gustare ancora meglio la nostra tazzina di caffè nel momento in cui potremo sorseggiarla nella patria di Pulcinella.
Perciò mi sono documentato e adesso vorrei condividerla con voi.

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A fornirmi qualche spiegazione ci ha pensato Marco Perillo, nel suo libro “Le incredibili curiosità di Napoli”.
Il giornalista racconta che la pianta del caffè è originaria dell'altopiano di Kaffa (il nome di questa località vi ricorda qualcosa?), in Etiopia. In ambito islamico si diffuse l'usanza di consumare una bevanda preparata con i frutti della pianta del caffè, dal momento che il consumo di bevande alcoliche era proibito.
In Italia, il caffè non entrò varcando le porte di Napoli ma bensì grazie ai commerci che Venezia intratteneva con il medio oriente. Ebbene, nel 1683 fu aperto il primo esercizio commerciale che vendeva caffè proprio nella città dei Dogi. A Napoli il caffè diventò una vera e propria moda grazie alla regina Maria Carolina d'Asburgo, desiderosa di importare in Italia l'usanza, tipicamente viennese, di ritrovarsi nel kaffeehaus per socializzare, discutere, leggere, giocare a carte o a biliardo, scrivere racconti, poesia o interi romanzi, mentre di degusta lentamente una calda tazza di caffè. Locali di questo tipo era piuttosto diffusi nella Napoli dell'Ottocento. Questa tradizione si perse, in favore dell'abitudine di consumare quanto ordinato in piedi al bancone del bar e, spesso, in fretta. Ma il caffè rimase e entrò nelle case di tutti grazie all'invenzione della “cuccuma” la famosa caffettiera napoletana, antenata della più comune “moka”. Però, a quanto pare, non è solo la caffettiera a rendere il caffè napoletano il più buono al mondo: l'ingrediente segreto di cui solo Napoli può avvalersi è l'acqua che sgorga dalle sorgenti presenti in quelle zone vulcaniche.
Ai nostri giorni molti acquistano le macchinette elettriche che funzionano con le capsule e anch'io ne posseggo una, perchè dopo pranzo mi piace bere il caffè espresso con quella sua splendida schiuma marrone chiaro, che necessita di una pressione piuttosto elevata.

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Ma qualche volta preparo il caffè con la mia vecchia moka da pochi soldi, perchè sono affezionato a quel gesto antico della preparazione del caffè, che è quasi un rituale: calibrare la giusta quantità di acqua da versare nel serbatoio, adagiare delicatamente la sottilissima e preziosa polvere di caffè creando una montagna, che quasi ricorda il Vesuvio, senza comprimerla e annusandone il profumo intenso, chiudere correttamente la moka, stringendo bene, ma non troppo, metterla sul fuoco e attendere il caratteristico brontolio che tanto sa di casa; infine, far scivolare lentamente il liquido fumante nella tazzina. Sono gesti che per molti di noi, come nel mio caso, ricordano la nonna e la mamma, mentre a fine pranzo, in cucina, con indosso ancora i loro grembiuli colorati e qualche volta un po' sgualciti, si prestavano, almeno due volte al giorno, a colazione e a pranzo, e sempre in presenza di un ospite, a compiere questo gesto che inebriava tutta la stanza dell'odore del caffè: il profumo che indicava che in quel momento ti trovavi in famiglia.

Fonti: “Le incredibili curiosità di Napoli. Storie sorprendenti di una città dal fascino infinito”
di Marco Perillo

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