Non è una data.
Non è un autobus.
Non è una chiave inglese (fuochino...).
E’ un carburatore! Oggetto magico, che una volta sostituito al suo fratellino regolamentare (il quattordicidodici), trasforma un noioso ciclomotore in una belva scatenata per quattordicenni avventurosi.
Domenica mattina, aprile, periferia. Una delle prime giornate della primavera romana; il cielo e’ di un blu quasi indecente. Per me la primavera comincia quando, uscendo dai palazzi lastricati di marmo, uno si rende conto che fa più caldo all’esterno che all’interno.
Lo scenario per il nostro rito è perfetto: garage seminterrato del padre di Giulio, puzza cristallizzata di benzina e vapori di scarico, lampadina fioca, vecchi giornali e damigiane luride. Un portiere petulante nei paraggi.
E il diciannove. Pronto per essere montato.
Lo guardiamo tutti come una reliquia. Tranne Giulio. Magro come un bambino e già brufoloso come un adolescente, lui sostiene che stiamo perdendo il nostro tempo, perché avremmo dovuto comprare direttamente il ventidue!
Giulio viene zittito, come al solito. Lo conosciamo bene: lui rilancia sempre, perché è invidioso e vuol far vedere che la sa lunga. Per esempio, se gli parli di un bacetto rubato a una ragazzina quasi carina, lui tira fuori inverosimili avventure con ragazze più grandi e bellissime. Qui è un po’ la stessa cosa. Il diciannove equivale alla ragazzina più carina della nostra classe: irraggiungibile ma possibile allo stesso tempo. Il ventidue, invece, fa paura solo a nominarlo: ragazzi più grandi ci si sono già fatti male. Come con quella formosa bidella diciottenne, che ogni tanto ci guarda come una strega, che sa che che non potremmo sfuggire al suo sortilegio se decidesse di lanciarlo...
Dopo una buona mezz'ora di imprecazioni e bestemmie (rigorosamente senza motivo, giusto per sentirsi grandi), il nostro carburatore sembra correttamente installato. A questo punto, il rito vero e proprio comincia.
Prima cosa: guardare. Il feticcio è chiaramente più grosso del suo fratellino regolamentare. Il primo obiettivo e’ raggiunto: la differenza si vede. Adesso ce l’abbiamo più’ grosso (a 14 anni questo e’ importante!) e perfino la sua forma slanciata evoca virilità e potenza.
Seconda cosa: ascoltare. Bisogna provare a farlo partire, per ascoltare il suo “urlo”. Qui entra in gioco Giancarlo, il ripetente. Più alto e corpulento di noi, a lui spetta l’onore di essere il primo a tentare di domare la belva. Dopo qualche tentativo vano, Giancarlo ottiene finalmente il primo vagito del nostro bebè. Sembra piuttosto il rantolo di un moribondo. Più precisamente: quando uno da’ gas, prima rantola, e poi URLA!
EVVIVA! Fa rumore! Molto più di prima!
Passiamo almeno dieci minuti a sgassare in garage, beandoci del rumore e intossicandoci di vapori di scarico. Alla fine dell’ultima sgassata, l’urlo del motore sembra non voler finire mai...
E’ il portiere! Il suo urlo, curiosamente, ha la stessa tonalità del nostro motore! Scoppiamo a ridere come pazzi e decidiamo che è il momento di uscire.
Ponte Lanciani.
Aria sulla faccia.
Rantola e poi URLA!
Grazie al diciannove, arrivo prima degli altri al semaforo. Un mio simile nota subito il carburatore maggiorato...
“Quanto ti fa?”
“SETTANTA!” (Bugia).
Arriviamo ad uno sterrato vicino a Ponte Lanciani, che Giancarlo definisce una pista di motocross. Puzza di immondizia nell'aria tiepida di Aprile, un cartello “Attenti al cane” divelto, e uno di quegli improbabili chioschi di fioraio che in periferia trovi dappertutto.
Ci sono altri adolescenti motorizzati. Purtroppo appartengono a quel genere di coetanei che noi di solito cerchiamo accuratamente di evitare: non necessariamente più vecchi di noi, ma più pelosi, più muscolosi, e con l’aria strafottente. Appartengono alla tribù di “quelli dall'altra parte del ponte”.
Come ogni branco di mammiferi in territorio straniero, adottiamo una tattica difensiva/sottomessa che consiste nel rimanere in gruppo, evitando di incrociare direttamente lo sguardo degli alieni e lasciando loro la precedenza nell'uso della pista. Questa tattica ci permette di negoziare un uso moderato della pista in condizioni di non-belligeranza.
Uno degli alieni è un po’ più vecchio di noi. Ha una strana moto (ovviamente col diciannove) che sembra un puzzle, composto da parti meccaniche originarie di differenti galassie. Nonostante la moto-puzzle, è comunque l’unico che riesca ad abbozzare un salto degno di questo nome su una cunetta di sabbia.
Dopo una decina di minuti di innocuo rodeo, decido che è il momento di tentare a mia volta un salto. Giulio e Giancarlo mi mettono in guardia – un fallimento ci esporrebbe allo scherno degli alieni, ma ormai sono già lanciato e dopotutto anch'io ho il diciannove...
Discesa.
Accelera.
Tieni forte il manubrio.
Guarda avanti.
L’avantreno va giù in picchiata (ma perché l’avantreno dell’alieno non aveva picchiato?).
Faccia nella sabbia. Un po’ di sangue dal naso.
Gli amici mi rimettono in piedi, e tutti attendiamo la reazione degli alieni. Ci scherniranno? Ci aiuteranno? Ci ruberanno le moto?
Per ora ci ignorano. In assenza di reazioni, faccio l’indifferente e provo a far ripartire la belva.
Rantola.
Rantola.
L’urlo non arriva.
Non riparte. E adesso?
L’alieno dominante si avvicina. Ora mi permetto di lanciargli un primo sguardo. Ha una faccia dura ma gentile, con un mezzo sorriso che è un po’ una smorfia. A prima vista, lo definirei uno di quelli che ti spaccano la faccia solo se hanno un buon motivo.
Secondo sguardo. Ha un colorito un po’ più scuro del mio, la faccia larga e delle mani enormi. Per fare a cazzotti o forse per RIPARARE MOTORI! Decido ottimisticamente che deve essere un meccanico, perché ha l’aria di volermi aiutare.
Prima che lui mi rivolga la parola, una voce fuori campo annuncia: “Adesso ci pensa Pinuccio...!”
La frase, potenzialmente ambigua e pronunciata con un tono che mi sembra ironico, per un attimo mi fa temere il peggio, ma il mio terzo sguardo verso Pinuccio (evidentemente si chiama cosi’) mi convince definitivamente che lui vuole aiutarmi.
“Quanto ti fa?”
“Sessanta” (Ho deciso di dire la verità’, come se fossi dal dottore).
Pinuccio mi guarda scettico, poi si china, guarda il diciannove, e...lo stacca dal collettore con la forza delle mani, senza allentare la vite!
Avrei voglia di urlare. Mi sento come se mi avessero evirato senza anestesia, ma mi dico che quando uno va dal dottore deve essere preparato a sopportare un po’ di dolore. Comunque non ho scelta, posso solo sperare che sappia cosa sta facendo!
Pinuccio guarda il carburatore dal basso verso l’alto (come faceva mio zio con le bottiglie di vino), poi ci soffia dentro, e sentenzia: “E’ incrostato.”
Non capisco di quali croste stia parlando, visto che il carburatore e’ nuovo di zecca! Mi preparo ad argomentare, ma colui che in precedenza aveva parlato fuori campo e che adesso si e’ avvicinato mi fa un gesto solenne come a voler dire “Non interrompere il maestro...!”.
Pinuccio smonta rapidamente il carburatore, stavolta usando un cacciavite, che qualcuno gli ha passato (ogni chirurgo ha il suo ferrista...). Appoggia i pezzi per terra, cosparge il tutto di benzina e gli da’ fuoco!
Di nuovo, mi sento come se avessero incendiato le mie parti intime. Stoicamente, rimango impassibile.
Dopo pochi secondi di tortura, il fuoco si estingue. La tortura (come tutte le torture) si e’ rivelata una inutile crudeltà’: il rantolo resta tale e il motore non parte.
A quel punto la farsa medico-meccanica raggiunge il suo apice! Pinuccio, l’aria pensosa, ragiona ad alta voce: “La guarnizione e’ buona.” Tutti annuiscono. “Il collettore e’ pulito.” Idem come sopra. “Quindi, devono essere le fasce!” L’idea di assistere a una nuova tortura mi risulta insopportabile. Mentre tutti annuiscono entusiasti, come antichi Romani pronti ad assistere ad un nuovo crudele spettacolo circense, salto sulla mia moto e quasi scusandomi del mio gesto (“...lasciami provare un attimo...”) tento di metterla in moto.
Il motore si avvia al primo colpo!
Lo studente del primo anno di medicina e’ riuscito laddove il primario aveva fallito!
Il motore rantola, poi urla, ma ha tendenza a soffocare e si capisce che ha voglia di spegnersi se uno non dà gas. La scusa per congedarsi e’ perfetta: lanciamo ringraziamenti, promesse di amicizia eterna, e ci lanciamo giù’ per il viottolo, verso Ponte Lanciani.
Spero con tutte le mie forze che il motore tenga fino a casa. Se si spegne sul ponte, sono nei guai. Per questo cerco disperatamente di tenerlo su di giri, passo col rosso ai semafori, salutando gli amici al volo, e in pochi minuti sono a casa.
Dopo pranzo, da solo, analizzo cartesianamente la successione degli eventi.
Carburatore nuovo.
Rantola e poi urla.
Salto, caduta.
Rantola e soffoca (si spegne).
Tutto e’ chiaro.
Torno in garage per verificare e scopro che le viti del collettore (cioè’ il raccordo fra il carburatore e il cilindro) sono completamente allentate. Il motore soffocava per eccesso d’aria...!
Gli amici suonano al citofono. Cerco di condurli gradualmente verso la soluzione dell’enigma, sollecitando le domande giuste, ma capisco rapidamente che (come al solito) non sono interessati a simili esercizi intellettuali.
Ci tuffiamo a capofitto nell'idiozia della televisione domenicale. Le trasmissioni sportive hanno la meglio sugli ultimi neuroni ribelli.
Pronti per il lunedì’.