Stamattina mi sono svegliata con tutta l'ansia e la malinconia di un ultimo giorno di vacanza prima di tornare a lavoro.
Domani comincerò nuovo lavoro, il terzo in sei mesi. Mi ero ripromessa di fare tante cose, in queste due settimane, che involontariamente si sono concentrate tutte in quest'ultimo giorno: uscire e fare fotografie di Torino innevata, cucinare, scrivere e fare shopping, comprare quel vasetto di fiori così carino che hai visto al mercato una settimana fa.
(tutte le foto sono dell'autrice)
Mi sveglio alle 9, faccio colazione: latte caldo con tre biscotti Grancereale, una fetta di pane di segale integrale con crema di sesamo chiara e marmellata senza zucchero, accendo la tv e faccio quel tanto di zapping che basta a ricordarmi di aver passato le ultime due settimane troppo concentrata su quello schermo invece che sulla mia vita, vado in bagno e perdo tempo a controllare lo stato delle mie sopracciglia da rifare. Chiudo la porta del bagno, vado in camera e mi vesto abbastanza pesantemente per affrontare i -4 gradi fuori. Per carità, Torino mi ha abituata a -21 gradi, il primo inverno che passai qui, quindi non mi fa paura né impressione un solo numero decimale dopo il segno del meno.
I miei occhi incrociano lo sguardo allo specchio grande della mia stanza: quello specchio mi ha accompagnata negli ultimi 4 traslochi, lo comprai perché mi ricordava un oblò di una nave con tante piccole corde e lo appesi nel bagno di quella che ad ora sento ancora come la mia unica casa, è stato appoggiato solitario nell'angolo in una camera da letto fredda, quando convivevo. Mi piaceva vederlo lì, a rassicurarmi che alla fine sarebbe andato tutto bene.
Me lo portai con me anche in questa mansarda, un piccolo regno sui tetti di Torino con una torre liberty sul terrazzo.
Da quella torre si vede tutta Torino, innamorarsene è abbastanza scontato. Il primo esempio di palazzo in questo stile in città, il palazzo Bellia. Un orgoglio per chiunque abbia l'onore di visitarlo, o, addirittura, viverci.
Certo, questa casa non è ben messa all'interno, la cucina è spoglia, brutta, i lavori sui muri sono rattoppati con con pezzi di vernice bianca su sfondo ocra spugnato. Certo, la stanza non è grande, quando passa il tram i muri vibrano e le luci traballano, d'inverno è fredda e d'estate è quasi troppo calda.
Quando firmai il contratto mi prese l'ansia, ero insicura: era troppo buia? Perché avevo deciso di condividere nuovamente la mia casa con un conoscente? Non ero stufa di vivere con persone? Non stavo meglio sola? Ma tutti quelli che la vedevano per la prima volta se ne innamoravano e mi dicevano: hai la casa più bella del mondo. Nessuno vedeva i difetti che le trovavo io. Alla fine trovai il mio equilibrio, mi bastava guardare fuori dalla mia finestra o andare sul terrazzo per scordarmi delle perdite sul tetto, della caldaia senza acqua calda che nessuno sistemava, dei miei gatti che si azzardavano in mosse pericolose, facendosi molto male.
Avrei potuto amare questa casa, se condivisa con una persona con cui avrei condiviso la mia vita, ma il mio coinquilino, una sera di novembre, snervato per l'ennesimo problema casalingo, mi chiese se anche io volevo lasciare questa casa.
"Alla fine dei conti" disse "Spendiamo troppo per quello che è".
La casa più bella del mondo era solo nelle mie fantasie, gli scalini che portano al terrazzo pieni di fiori che in primavera illuminano la cucina buia, scaffali in legno dove riporre i piatti in modo ben ordinato, pareti con quadri illustrati e il bagno ricco di orchidee e candele.
Era tutto nella mia testa e sapevo che non avrei potuto più realizzarlo.
In effetti, mi dissi, è troppo cara e ci da solo problemi.
In effetti, mi dissi, ho due terrazzi ma le mie gatte sono costrette in casa pena la probabile morte.
In effetti, da quando vivo qui i miei vestiti odorano di umidità e vecchio.
Decidemmo quindi di disdire il contratto di affitto, e da quel giorno è cominciato il conto alla rovescia per l'ultimo addio.
Mi dissi che avrei detto addio a Torino, non solo alla casa. Poi le cose sono andate in modo diverso.
Mentre mi guardo riflessa negli occhi del mio silenzioso compagno di traslochi mi accorgo di avere una pessima cera. Torno in bagno ma la porta non si apre più.
La maniglia si è rotta dall'interno.
Ho una pessima cera, un sacco di occhiaie, le sopracciglia da rifare e questa casa mi sta lasciando fuori dal bagno.
Quindi prendo l'ascensore per recarmi in ferramenta.
All'ingresso trovo la portinaia e mi sfogo con lei su tutti i problemi che sto vivendo da quando sono qui, poco più di un anno e tutte queste rogne da risolvere.
Lei, braccio ingessato per un incidente, non il primo quest'anno, mi confessa che pensa che la casa abbia qualcosa di sbagliato, che ci sia qualche fantasma che non fa andare bene le cose, perché da quando lavora qui le va tutto storto.
Forse questa casa ha davvero qualche potere magico che prima mi affascinava ma che ora non voglio più conoscere.
La ferramenta, una signora piemontese cortese quanto basta per svelare la sua falsità, ha un cane bellissimo accoccolato davanti a una stufetta elettrica, in attesa di coccole. Io lo accarezzo sulla pancia e lui mi ringrazia scodinzolando. Lei mi da pochi e riluttanti consigli. Io ringrazio ed esco sotto il cielo grigio.
Rientro in casa, tolgo un pezzo di maniglia. C'è chi mi chiede se sono già riuscita ad aggiustare tutto.
No, rispondo io, ora bevo un caffè e aspetto che scenda la neve.