Michele e il Mago della Riviera

“Buongiorno, signor Michele!”.
Alla dottoressa Rossella Lendi quell’anziano così simpatico e gentile faceva tenerezza.
Le dispiaceva vederlo spegnersi di giorno in giorno.
Ad ogni visita di controllo era più debole e più incerto nei passi, ma manteneva un sorriso dolce ed era costantemente di buonumore.
In realtà si conoscevano fin da quando lei era una bambina. Lui, coetaneo dei suoi genitori, gestiva una trattoria dove spesso la domenica andavano a mangiare.
“Da Michele”, specialità i tortelli con spinaci e ricotta, il cinghiale in umido e l’agnello arrosto con le patate. Prelibatezze.
Quando pensava a quei momenti, Rossella, oncologa, sentiva ancora il profumo e la fragranza che già si avvertiva sulla soglia del ristorante. Ma, soprattutto, ricordava il senso di calore di quel tempo…
Poi la vita va avanti, si pensa di raggiungere ogni traguardo, ma si perdono per strada molti sogni, molte persone…
Mentre rifletteva, il suo paziente, seduto davanti a lei, le porse gli ultimi esami. Davvero brutti, pensò la dottoressa. Come avrebbe fatto a dirglielo?
Stranamente, benchè la conoscesse da sempre, Michele non voleva darle del tu : “Eh, no, dottoressa. – diceva – Allora lei era una bambina, ma adesso è un medico che mi sta curando e con grande professionalità. Io le devo rispetto”.
Quel giorno, il signor Michele era davvero pallido e il suo sorriso appariva bello, ma diafano, come se stesse per unirsi a qualcosa di molto meno materiale.
“Vede, signor Michele, i suoi esami sono un po’ peggiorati”
Rossella si sentiva imbarazzata. Aveva seguito corsi di comunicazione, sapeva come dare brutte notizie, ma questo era un paziente speciale. Uno che aveva conosciuto i suoi nonni, che si ricordava dello zio che lei non aveva mai conosciuto, morto in guerra.
Era come se una parte di lei, molto segreta e lontana, fosse un po’ intrecciata con la vita di Michele.
Ma lui, serenamente, le disse:
“Guardi che io lo so, mi rendo conto che sto morendo. Ma non è un problema. Ho ottantasei anni e, tutto sommato, ho avuto una buona vita. Suo zio era un mio amico ed è morto a ventun anni. Sono stato molto più fortunato, no?”
Lei annuì. Era davvero incredibile quell’uomo, capace di essere obiettivo anche quando parlava della sua morte.
“E poi, vede, dottoressa, io lo sapevo di dover morire a ottantasei anni”
“Lo sapeva? – lei incredula- E come?”
“Allora. Le voglio raccontare una storia, dato che lei è così gentile e premurosa”.
La sala d’attesa era piena di gente, ma Rossella era interessata ad ascoltare le storie dei pazienti e questa poi prometteva di essere interessante.
Michele continuò.
“Subito dopo guerra, lavoravo come cameriere al Bar Paradiso. Ora non esiste più, anzi, ha chiuso prima che lei nascesse e in quei locali hanno aperto una pizzeria.
Una volta al mese, veniva da Genova uno strano tipo, il Mago della Riviera. In realtà si chiamava Carlo Chiari, ma nessuno lo chiamava col suo nome. Tutti gli dicevano maestro o addirittura mago.
Solo io lo chiamavo signor Chiari e per questo non mi aveva troppo in simpatia.
Quando arrivava, il proprietario lo sistemava in un piccolo appartamento sopra al locale e lui riceveva una marea di clienti, uomini e donne di ogni età e condizione, ansiosi di conoscere il loro futuro. Lui leggeva la mano, ma anche le carte e tutti erano entusiasti e convinti che avesse grandi capacità.
Io, invece, ero scettico e non riuscivo, a volte, a trattenermi dal ridacchiare o a scuotere impercettibilmente la testa, quando i clienti parlavano del mago. Dicevano che leggesse perfino la sfera di cristallo… Ora, via, ma come si faceva a credere che, guardando in una palla di vetro, si potesse vedere il futuro? Trovavo ridicola questa faccenda.
Un giorno, mentre servivo il caffè al tavolo a due signore, le sentii discorrere su ciò che il veggente aveva detto loro.
“Lei, Michele – disse una delle due – non si è mai fatto leggere il futuro dal mago?”
“Me ne guardo bene – risposi – sono tutte sciocchezze”
In quel mentre, il Mago di Genova, il signor Chiari per me, stava scendendo le scale e sentì.
Così mi si avvicinò con fare piuttosto minaccioso.
“Tu che fai tanto lo spiritoso – tuonò – Vieni qua”
Io non volevo avvicinarmi, ma lui, di scatto, mi prese la mano destra e poi la sinistra, le girò con i palmi in alto e le guardò attentamente.
“Allora – disse – prima di tutto tua moglie aspetta un bambino e sarà una femmina. E poi ne avrai un altro e sarà maschio”
“Troppo facile – risposi – Che mia moglie è incinta lo sanno tutti e il sesso si indovina sempre al cinquanta per cento”
“Insisti? Bene. Allora ti dico: morirai a ottantasei anni. Però prima avrai un’altra grave malattia, ma guarirai”.
Quella sera, tornando a casa, raccontai a mia moglie quanto mi aveva detto il mago.
Lei era meno scettica di me e un mese dopo, quando nacque mia figlia, mi ricordò la previsione del Mago di Genova.
Puro caso. Dissi io.
Tre anni dopo nacque mio figlio e ancora mia moglie ricordò la previsione.
Ed io ripetei: puro caso.

Non avevo più pensato al mago, quando, nel ’70, cominciai a star male. Ero sempre più debole e stanco e non digerivo.
Mi sottoposi ad alcuni esami e la diagnosi fu terribile: un tumore allo stomaco, già piuttosto esteso.
Avevo quarantotto anni e la mia famiglia aveva ancora molto bisogno di me.
I medici mi dettero poche speranze, mi avrebbero operato, ma il risultato era incerto.
Fu allora che mi tornò in mente la previsione del mago e, per la prima volta, decisi di crederci.
Se era vero che dovevo morire a ottantasei anni, di sicuro sarei guarito.
Così fui operato ed il tumore era piuttosto brutto, ma, contrariamente alle previsioni, mi ripresi rapidamente e la malattia non è più tornata.
Gli anni sono passati e spesso ho pensato al Mago di Genova, senza più lo scetticismo di un tempo.

Poi, otto mesi fa, una nuova diagnosi: tumore del polmone. Ecco, mi sono detto, questo è quello buono. Così mi sono preparato, sono tranquillo. Domani compio ottantasei anni e dunque è giunta l’ora.
Ma non mi lamento: la mia vita è stata buona, ora posso anche andare senza troppi danni”

La dottoressa rimase a guardarlo, senza sapere che dire.

Dieci giorni dopo, Michele morì nel sonno, a casa.
I suoi ultimi giorni, disse la moglie, erano stati sereni.

FINE

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