“Domenica andiamo al mare”.
Nessun tono interrogativo ma, anzi, una secca determinazione, quasi che, invece che parlare di una giornata di relax, Giovanna stesse programmando i turni di pulizia del bagno, o una inderogabile scadenza lavorativa.
Giovanna e Carlo stavano insieme da poco più di sei anni. Si erano conosciuti sul posto di lavoro dove, promossi da una differente mansione, erano entrati a far parte del medesimo team.
L’ambito delle loro attività si svolgeva prevalentemente nel settore finanziario, in particolare i due erano gli esperti di soluzioni creative nel settore di recupero crediti. La netta impronta americana, che derivava dalle linee guida societarie, chiedeva un approccio moderno e dinamico nei confronti dei cattivi pagatori, e i due erano spesso impegnati in discutibilissimi brainstorming il cui obiettivo finale era uno solo: convincere i clienti a sganciare quanto dovuto, presto e con il sorriso sulle labbra.
“Minacce velate”
“Fare ubriacare il cliente”
“Frigobar”
“Rapimento alieno”
“Riga di chiave sulla portiera”
“Messaggio sotto il tergicristallo”
“Seduzione”
A volte parole singole, a volte teorie più elaborate e frasi compiute che venivano scritte sulla lavagnetta aziendale. “Il cliente collabora solo se si sente a suo agio”. “Stalkeraggio via facebook e commento ogni volta che posta una foto da vacanze o simili”.
Ed in effetti, qui si spiega il tono imperioso con cui era stato programmato il viaggio al mare: non si trattava affatto di una piacevole gita da godersi insieme al fidanzato.
La strategia di recupero crediti che aveva in mente era molto astuta: seguire in vacanza un cliente che doveva ancora saldare alcune rate delle precedenti vacanze e metterlo alle strette mentre con il portafogli in mano spendeva e spandeva in generi di terzultima necessità.
L’incauto si era bullato con gli amici, pubblicando su facebook l’evento a cui avrebbe partecipato: una partita di calcetto saponato che si sarebbe svolta proprio la domenica successiva in quel di Riccione. La moglie aveva messo prontamente un mipiace ai bagni Solemare. Il figlio quattordicenne aveva scambiato messaggi “in chiaro” con una coetanea dicendo che si sarebbero visti domenica, al bar della spiaggia.
E se un indizio non fa una prova, tre sono una pista pressoché certa, assolutamente da seguire!
E così, ecco i nostri due prodi agenti in pareo ed infradito che, alle quattro del mattino di domenica 11 agosto, si mettono in viaggio alla volta di Riccione.
L’autostrada del sole è il consueto incubo di un giorno di piena estate: tre file affiancate ininterrotte che, viste dall’alto, fanno apparire il flusso del traffico come una sorta di treno, anzi, di tre treni, composti da un numero di vagoni che tendono all’infinito.
Aria condizionata al massimo già a partire dalle sette del mattino, per evitare la morte certa sotto il sole che spacca le pietre, finestrini accuratamente serrati per non morire soffocati dai fumi velenosi di quel milione di macchine semiferme e tutte con il climatizzatore impostato sui 16 gradi.
“L’anno prossimo in montagna, eh?” dice Carlo, asciugandosi la fronte grondante.
“Vedremo.” risponde distrattamente Giovanna, che guarda l’orologio nervosa.
“Metto un po’ di musica?”
“Lascia perdere i tunz tunz, decidiamo piuttosto come muoverci”
“Muoverci è una parola bellissima ma molto lontana dalla nostra possibilità attuale”
“Mica potremo stare qui per sempre, ho guardato sul navigatore e ci dà come orario di arrivo le 10.19 in punto.”
“Bah. Non ci credo nemmeno se lo vedo”
“Guarda qui, lo sai che Maps non sbaglia mai”
Apre l’app, imposta la destinazione ed ecco apparire di una sorta di sistema arterioso in tilt: una ramificazione di strade completamente rosse. Ovunque. L’autostrada, le strade statali, provinciali, comunali, persino la via periferica in cui abitava la zia Pina, che stava a San Pancrazio, ridente località alle porte di Parma era segnata in rosso. Praticamente tutto il mondo era in viaggio, in quel momento e fino a chissà quando. Ci si poteva immaginare code infinite di veicoli di ogni genere, ma probabilmente anche processioni di persone sulle scale di tutti i condomini di ogni singola località affacciata lungo la via Emilia: inquilini con le valigie che attendevano il loro turno anche solo per pigiare l’apriporta.
E il contatore che indicava l’ora di arrivo implacabilmente procrastinava continuamente l’ora di arrivo: le 10.19 diventarono le 12.32, poi le 14:07, le 16.21 e poi parve stabilizzarsi sulle 19.42.
“Ecco. Lo dicevo che dovevamo partire prima. Arriviamo stasera, o stanotte, chissà.”
“Io lascerei anche perdere, a questo punto”
“Bravo, ottima idea, e dove vai, ormai?”
Non c’erano molte alternative, l’unica possibilità era arrivare ad un autogrill, bere una quantità imprecisata di caffè e mettersi (ancora!) in fila, per un camogli. La giornata non sarebbe stata molto fruttuosa, ma almeno non sarebbero morti di fame, di sete e di prosciugamento del liquido del condizionatore.
Intanto, cattivo pagatore e famiglia, dopo il viaggio su un treno affollato, caldo e puzzolente, si consolavano seduti al tavolino di una delle gelaterie più "in" di Riccione, davanti ad una coppa di dimensioni ciclopiche.
Immagini CC0 tratte da Pixabay: 1 e 2
Partecipo con questo raccontino al theneverendigcontest di @spi-storychain.