Si era fatto da solo, Don Vito, come tanti ragazzi del Dopoguerra, cresciuto in mezzo a tanta miseria e disperazione, costantemente preso per il culo per il nome, Aldebrando, a sua madre piaceva tantissimo quel nome, così altisonante ed importante, ma ben presto incominciò a creargli seri problemi, fin quando giunto al limite estremo della sopportazione, dopo anni e anni di pesanti sfottò ed angherie, non piazzò diritto diritto in un fianco, all'età di 15 anni, un coltello a serramanico ad un coetaneo, reo di avergli detto Aldebrando, Aldebrando, che lo prende in culo cantando.
Aveva passato un paio d'anni in riformatorio per quel fattaccio, e fu l'unica volta che venne ingabbiato, un paio di volte fu sottoposto a processi che sembravano inequivocabilmente terminare con una sua pesante condanna, ma la prima per decorrenza di termini, la seconda per un vizio procedurale, era riuscito ad evitare di saldare il conto aperto con la giustizia, grazie al brillante lavoro di due principi del foro, in grado di scandagliare ogni singolo pertugio della legge dove poter sottrarre alle maglie della giustizia il loro potente assistito.
Era temuto e rispettato, Don Vito, odiava i traffici di droga e tutto quello che ne era strettamente connesso, si dedicava principalmente al riciclaggio di denaro sporco, usura, edilizia abusiva, non disdegnando anche la prostituzione, soprattutto quella di alto bordo, così remunerativa e redditizia, al punto tale che era costantemente alla ricerca di nuove location dove poter alloggiare in tutta comodità le sue tanto amate donnine di piacere.
Un bel giorno, quando Felice raggiunse il bar per l'ormai consueta lezione di gioco, il capo della gang lo stava aspettando al bancone, lo fermò dicendo per doveva parlargli.
"Oggi niente Texas, caro il mio morto di fame, oggi si fa un giretto insieme..."
La frase, stranamente, non suonava minacciosa più di tanto, l'uomo guardò il ragazzo e senza fare un minimo cenno di protesta, che sarebbe stata fra l'altro perfettamente inutile, rispose affermativamente.
Si incamminarono per le strette vie del centro storico, così antiche e caratteristiche, per prendere una delle tre strade principali che lasciavano il paese, dopo qualche centinaio di metri Felice capì dove erano diretti.
"Cosa vuole Don Vito da me??"
"Non lo so, mi ha chiesto solo di portarti da lui, altro non so", rispose asciutto lo scagnozzo.
Era solo una delle tante pedine di Don Vito, uno dei più attivi tra le nuove leve, anche se un po' troppo focoso ed un po' troppo amante delle droghe, sostanze che non andavano assolutamente d'accordo con la filosofia del capomafia, che tollerava a malapena quella sua passione che riteneva insana e deleteria.
Superato il pesante e maestoso cancello d'ingresso, sorvegliato da due guardie, entrarono nel lussureggiante giardino, pieno di ogni tipologia di piante grasse, oltre a tante piante di agrumi, frutti di cui Don Vito andava pazzo, i loro passi erano scanditi dal caratteristico calpestio dei piccoli ciottoli di ghiaia, qualche minuto e raggiunsero il portone della magnifica villa, di epoca barocca, che si aprì istantaneamente al loro progressivo avvicinarsi.
Superata la soglia, due guardie del corpo personali di Don Vito li condussero in una stanza, dove vennero fatti accomodare, aspettando la venuta del padrone di casa, che si fece attendere poco....
"Buongiorno Don Vito."
"Buongiorno a voi, tu puoi andare, ora mi arrangio da solo", disse il boss liquidando il giovane scagnozzo.
Continua....