Ultimamente mi piace seguire gli approfondimenti di @discovery-it: i due filoni artistico-storico e scientifico mi piacciono moltissimo e rispecchiano due mie grandi passioni.
Nel post di oggi voglio raccontare la Peste nel 1600: argomento presentato con Arte&Storia n°7. Partirò da una mia esperienza personale per navigare a ritroso seguendo il percorso tracciato da Alessandro Manzoni con i "Promessi Sposi".
Buona lettura!
FIRENZE: Loggia dei Lanzi
Il nostro viaggio inizia dalla città che intorno alla metà del XVI secolo (1555) riuscì ad imporre in modo netto la sua supremazia sui territori toscani: Firenze.
Il dominio dei Medici riuscì proprio in quell'anno a sopraffare l'acerrima rivale Repubblica di Siena. Tale rivalità, figlia del forte campanilismo che domina quest'area dell'Italia ancora oggi, fu fortemente condizionato quando la peste colpì queste città1: Siena, San Gimignano, Pienza ed altre importante cittadine subirono un forte arresto dovuto alla piaga ed una successiva implicita resa di fronte al giglio fiorentino. Anche la città dei Medici dovette fare i conti con la peste, ma seppe reagire in miglior modo rispetto alla rivale.
Il grande regno che era rappresentato dal Granducato di Toscana, per lungo tempo subì rivolte interne dovuta all'annessione di popolazioni ostili e per questo il Granduca Cosimo I dovette avvalersi di un numeroso esercito, capace di poter mantenere il proprio dominio sui territori controllati ed al contempo ostili: questo fu costituito essenzialmente da mercenari. In quegli anni il sostantivo "mercenari" faceva spesso rima con "Lanzichenecchi".
Questi erano truppe di fanteria specializzate nel combattimento, di origine germaniche ed arruolate originariamente dal Sacro Romano Impero. Il loro stipendio era scarso, ma al contempo avevano grandissime libertà di razzia nei territori che si impegnavano nel conquistare. Erano infatti rinomati per lo stile distruttivo e violento che contraddistingueva il loro passaggio.
A Firenze vi era un luogo nel quale avevano modo di sostare nei periodi di tregua: in Piazza della Signoria sotto quella che per la loro presenza persistenza prenderà il nome di Loggia dei Lanzi.2
Loggia dei Lanzi
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La presenza dei Lanzichenecchi sul territorio fiorentino e più in generale sul territorio italiano, non era stata contraddistinta essenzialmente dalla violenza con la quale le loro barbarie si abbattevano sulla popolazione, particolarmente indebolita nel '500 dalle carestie, ma anche dal fatto che portassero con loro il batterio della peste. Questo esercito di soldati-nomadi sparse in tutta l'Europa, fungendo da mezzo, proprio questo bacillo, diffondendo la morte oltre che attraverso le loro armi anche attraverso ciò di cui erano infetti.
MILANO, 1630
L'esercito del Sacro Romano Impero, guidato da Albrecht von Wallenstein, spietato generale cattolico tedesco che guidò le sue truppe nella "Guerra dei 30 anni", proveniente da nord colpì in modo irruento per prima la città di Milano: nel 1630 infatti il Ducato subì un forte colpo, dovuto alla carestia ormai persistente sul territorio, ma in particolare causata proprio dall'arrivo dei Lanzichenecchi, accompagnati dalla peste.
La piaga fu talmente potente che i "Mortuorum Libri", i documenti sui quali venivano registrate le morti e le cause, testimoniano ancora oggi numeri paurosi: in un solo anno il Ducato di Milano registrò oltre 60.000 defunti. Un numero impressionante se si pensa quale fosse il numero totale di abitanti nella città in quegli anni.
Albrecht von Wallenstein
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Questi documenti sono stati di recente analizzati da un gruppo di ricercatori del Politecnico di Milano, che ha studiato la presenza chimica di determinati microbi e bacilli presenti su di essi: l'attenzione degli studiosi si è soffermata sulle pagine degli scritti ed in particolar modo nell'angolo in basso a destra della pagina di destra, essendo questo il lembo che solitamente viene utilizzato per voltare pagina. Si sono rilevati nei mesi di studio varie forme della yersinia pesti3 ed anche alcune tracce di antrace, insolitamente abbinata al morbo della peste. Tutto ciò a testimoniare che molto probabilmente alcune morti, per le quali inizialmente si era pensato fosse la peste la responsabile, invece sarebbero state proprio legate all'antrace (carbonchio).4
Nel contesto milanese purtroppo l'epidemia della peste non fu presa seriamente in considerazione ed anzi, ad aggravare la cosa, in seguito al verificarsi delle prime manifestazioni del morbo, il 11 giugno 1630 fu indetta anche una cerimonia in Piazza Duomo, alla quale parteciparono moltissimi fedeli: si sarebbe dovuto fare una preghiera per invocare il soccorso divino.
Tale atto non fece altro che facilitare la diffusione del morbo tra i cittadini.
La testimonianza manzoniana, 1827
Alessandro Manzoni nella sua massima opera, "I Promessi Sposi" ci permette di conoscere, attraverso un romanzo storico, molti aspetti di quella che era la vita negli anni della peste nel Ducato di Milano: ci consente di conoscere come questa sia stata vissuta in modo diretto dalla popolazione: come gli "appestati" fossero segregati all'interno del lazzaretto e nella zona prossima ad esso, delimitata da un muro:
Il recinto del lazzaretto, popolato da sedicimila appestati, era ingombro di capanne, carri, malati o cadaveri e dovunque c'era un continuo movimento. (Cap.XXXV)
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Nei capitoli dedicati all'ingresso ed il girovagare di Renzo a Milano, Manzoni descrive un contesto, allegoria della morte, in cui il silenzio delle vie milanesi si interrompe saltuariamento solo quando riecheggia il suono del campanello dei monatti: quegli individui immuni al bacillo della peste che avevano il ruolo con il loro carro di raccogliere i cadaveri lungo le strade e di portare gli appestati al lazzaretto. Un suono di morte che si aggirava tra le vie cittadine.
Manzoni descrive nel suo libro una delle scene più commoventi della letteratura italiana:
"Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna il cui aspetto annunciava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; [...] Portava essa in grembo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per tempo.Cap. XXXIV
La scena dedicata alla madre di Cecilia crea nel lettore un senso di appartenenza e vicinanza nei confronti di coloro i quali hanno vissuto direttamente la piaga della peste, capace di strappare dalle mani di una giovane madre una figlia.
Manzoni, attraverso esempi pratici, cerca anche di spiegare in modo chiaro, e coinvolgendo il suo personaggio chiave Renzo, un triste episodio: la popolazione milanese, fortemente afflitta dalla peste cerca di identificare in certi personaggi i responsabili della diffusione del morbo. Renzo è infatti additato come un untore e riesce a scapare dal linciaggio solo grazie ad una rapida fuga. Emblematico rimane il fatto di come la semplice popolazione non riesca in alcun modo a darsi spiegazione di tanti morti e di un contagio simile, finendo per additare anche un semplice ragazzo come responsabile di ciò.
Bibliografia
1 La peste a Siena
2 La Loggia dei Lanzi, Firenze
3 La yersinia pesti
4 Lo studio del Politecnico sui "Mortuorum Libri"
5 "I promesi sposi", Alessandro Manzoni