Talvolta ci sono attimi che restano fermi dentro di noi, fermi, immobili, fissati nella nostra memoria come un chiodo saldamente piantato in un muro con appesa una foto sbiadita.
Così mi sentivo io, come un muro con appeso un chiodo, un muro sanguinante con quel piccolo grande chiodino conficcato a fondo nell' animo.
E appeso a quel chiodino c' era una foto, lei, sorridente, Emma.
Emma era bella, non si truccava quasi mai, aveva lunghi capelli castani e una voce davvero soave ed io l' avevo amata sin dal primo momento.
Ci eravamo incontrati ad un concerto in un pub di Soho , lei esitante aveva cantato delle canzoni con il suo ex, un pallone gonfiato con in mano una chitarra.
A fine serata era ubriaca a piangere al bancone, avevamo parlato e diviso un taxi. L' anno dopo condividevamo una casa, due fedi e un figlio.
Emma l' amavo come si ama un fiume, lo si osserva scorrere e fare il suo corso, ammirandone la bellezza e la forza.
Lei era bella, forte e correva sempre.
Anche quel giorno, anche l' undici settembre.
Vorrei dirvi che l' avevo pregata di non recarsi a lavoro quella mattina, che ho avvertito dei segni, che avevo mal di stomaco o uno strano turbamento.
Invece niente di niente, neppure una nube o un sogno premonitore .
Quel giorno presi il mio solito taxi e salimmo assieme, lei verso il suo ufficio nella sua torre tomba e io verso il mio ad un paio di isolati di distanza.
Ci alzammo, ci vestimmo. Lei bevve il suo caffè forte e mangiò la sua crostata di mele come sempre, il bambino era affidato alla tata, eravamo tranquilli, avevamo già prenotato le ferie, dovevamo andare a Verona, lei era fissata con l ' Italia e non ci mancavano certo le risorse per permetterci un viaggetto.
Quel giorno scesi dal taxi un secondo perchè ad Emma era caduto un orecchino, uno di quelli del fidanzamento, d' argento con le iniziali dei nostri nomi, il suo paio di orecchini preferiti.
Buffo come adesso io non riesca a vedere degli orecchini e provare una stratta al cuore vero? Alcune abitudini dell' altro che diamo per scontate, piccole abitudini, ci si conficcano dentro come lame quando l' altro scompare.
Scompare, non muore, ancora non riesco a dirlo, muore, suona così definitivo crudo.
Scomparire è meglio, lascia spazio all' immaginazione, se lei è scomparsa non ha smesso di esistere si è solo spostata altrove.
Un altrove sconosciuto ma pur sempre esistente, non un nulla cosmico, una disintegrazione.
Certi interrogativi mi sono apparsi così vicini dopo la sua scomparsa, io che vivevo senza mai pensare a niente che non fosse la vita, il lavoro, la famiglia.
Io che su quell' altrove non mi interrogavo mai e che adesso vago tra religioni e filosofie in cerca di una sola risposta.
Lei dov'è?
Io che ancora brancolo nel ricordo del mio braccio teso verso di lei e della sua mano pronta ad afferrare frettolosa l' orecchino, il semplice gesto di rimetterselo all' orecchio e poi quel bacio tenero, dal sapore quotidiano, a fior di labbra.
Un ultimo bacio a New york, non sarebbe stato meglio morire a Verona Emma?
Entrambi, come Romeo e Giulietta, su un balcone in fiamme però, avvolti dall' odore di erbe profumose, neppure ci saremmo accorti del fuoco che ci bruciava, stretti in un passionale abbraccio.
Invece no.
Ricordo ancora quel " Ci vediamo stasera" quasi urlato per il caos attorno a te, il traffico, i passanti, i pedoni maleducati.
Ed io che penso, in quale sera ci rivedremo Emma?