La nuova Eloisa

Questo racconto è stato scritto per partecipare a Theneverendingcontest n° 16 S1-P4-I1 di @spi-storychain sulla base delle indicazioni del vincitore precedente @moncia90.

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La nuova Eloisa

Eloise si ricordava bene delle lacrime di sua madre di molti anni prima, ma solo in quell’istante ne aveva ben compreso la ragione. Allora, come un’ondata improvvisa, il dolore la sopraffece, soffocandone il petto strizzato nel busto del ricco vestito nero e mozzandone il respiro. Portandosi entrambe le mani al cuore, quasi a sostenerne il dolore che sembrava squarciarle il petto, emise un gemito e si sentì mancare. <<Madame, Madame la Comptesse, vi sentite bene?!>> chiedeva allarmata una delle cameriere, che la sosteneva. <<Si, Justine, è stato solo un mancamento passeggero: devo avere il busto troppo stretto. Aiutami a sistemarlo un pochino, te ne prego.>>.

Quando Justine si allontanò per continuare le sue faccende lasciando sola Madame, Eloise tornò al suo scrittoio, dove giaceva un libro che era appartenuto a sua madre, Gabrielle, defunta pochi mesi prima. Eloise lo aveva trovato per caso in un compartimento segreto dello scrittoio materno e ne era rimasta colpita: lo conosceva bene, lo aveva letto segretamente e non credeva che sua madre, le cui idee lei aveva sempre ritenuto reazionarie, potesse averne una copia nascosta.
Ne sfiorò la copertina e le pagine ingiallite e consunte dalla lettura, e ne rilesse ancora una volta il titolo: “Julie ou la Nouvelle Héloïse”, di tale Jean-Jacques Rousseau, filosofo svizzero il cui nome rimbalzava da qualche tempo sulla bocca di tutti per le sue idee sulla sovranità del popolo che stavano guidando le rivolte degli ultimi anni.

La prima pagina recava una dedica sbiadita:

“Alla mia Héloïse. 3 luglio 1768. A.G.”

E poi, appena più sotto:

“Possa il mio amore accompagnarti ad ogni sorriso della nostra Eloise. 21 marzo 1771. A.G.”

Eloise appoggiò il capo fra le mani, divenute fredde, cercando refrigerio dai pensieri che sembrava volessero farle esplodere le tempie. 21 marzo 1771. Il giorno in cui lei era nata. Era lei quella seconda Eloise, mentre la prima doveva essere sua madre, che tre anni prima della sua nascita aveva evidentemente intrapreso una relazione con "A.G.".
Ecco che la strana gravidanza durata dieci mesi assumeva tutto un altro senso. Non era stato il defunto padre, prima di morire, a lasciare Gabrielle incinta di un'erede, ma A.G., ovvero Andrè Guillome, il loro avvocato, l’amante di sua madre.
Adesso ogni tassello stava andando dolorosamente al proprio posto.
“Madre, come avete potuto farmi questo?! Cosa avete fatto!” pensava Eloise in preda alla disperazione.
Una miriade di ricordi le sfrecciavano d’avanti agli occhi. La strana frequenza delle visite dell’avvocato in casa loro. Le lunghe discussioni di lui e sua madre chiusi nel boudoir, dove nessuno doveva disturbarli. L’inusuale tenerezza di Monsieur Guillome nei suoi confronti. La gioia dei due genitori quando lei ed Emile, figlio dell’avvocato appena più grande di Eloise, giocavano felici insieme. L’improvviso disappunto rabbioso quando l’amicizia infantile fra i due si era trasformata in qualcosa di più. Quando erano stati scoperti, appena adolescenti, Monsieur Guillome aveva imprecato contro il figlio ed il buon Dio che lo puniva per i suoi peccati, e dopo un sonoro ceffone lo aveva trascinato via e non lo aveva mai più portato in casa della Comptesse Gabrielle. Quest’ultima, solitamente una madre buona e comprensiva, quella volta aveva punito severamente Eloise per l’accaduto, urlandole contro, fra le lacrime e l’ira, che erano entrambe due disgraziate e che mai e poi mai una nobile contessa come Eloise avrebbe dovuto mischiare il proprio sangue a quello di un borghese di rango inferiore, mai, specialmente a quello di un Guillome! “Ma madre! Io credevo che zio Andrè fosse un brav’uomo, ci ha sempre aiutato nonostante siamo due donne sole! Io credevo che ti piacesse!”. Ferita e furiosa, la madre aveva replicato di non chiamarlo mai più zio Andrè, come aveva sempre fatto fin da piccola, che quell’uomo era un peccatore inviso a Dio, ma le era indispensabile per la gestione dei loro possedimenti.

L’argomento divenne un tabù e Monsieur Guillome ridusse notevolmente le proprie visite e non portò mai più con se Emile. Continuava a rimanere alcune ore nel boudoir con sua madre, ma evitava i contatti con Eloise, che non ebbe più occasione di rivedere il ragazzo fino ad un paio di anni prima.

Emile, avviatosi anch’egli alla professione paterna dell’avvocatura, affiancava il genitore nel suo lavoro e sbrigava anche le faccende delle contesse. Durante l’università, aveva conosciuto Robespierre e, affascinato dalle idee liberali che portava avanti, aveva preso parte ai moti rivoluzionari del 1789. Credeva fermamente nell’uguaglianza fra uomini di ceti sociali differenti ed aveva contribuito alla stesura della nuova Costituzione e della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. Quando, però, la fazione guidata da Robespierre era diventata estremista al punto da degenerare nell’irrazionalità di un regime di terrore, se ne era allontanato, sospendendo anche in parte la propria attività politica rivoluzionaria per dedicarsi alla cura delle faccende professionali ereditate dal padre appena defunto. Era l’inizio del 1794, e già da tempo Gabrielle ed Eloise si erano rifugiate lontano da Parigi per sfuggire alle persecuzioni dei rivoluzionari. Non erano mai state sufficientemente nobili o ricche da essere ricevute a Versailles, alla corte del Re, ma per il popolo lo erano abbastanza da attirarsi l’odio di chi non aveva mai avuto nemmeno da mangiare.

Emile si recò per la prima volta a casa delle contesse nella primavera del 23° anno di Eloise, e, di nuovo, se ne innamorò. La madre di Eloise, però, ostacolava in ogni modo gli incontri tra i due ragazzi, facendone quasi la sua ragione di vita per circa un anno. Era ancora ancorata alle vecchie idee per cui un nobile non potesse legarsi ad un ceto inferiore, ed impedì a lungo che i due giovani potessero vedersi e parlarsi. Alla sua morte, però, la passione fra i due esplose potentissima in maniera quasi naturale, coronata da un’incredibile intesa spirituale e condivisione delle idee. Emile spiegava ad Eloise che non appena la nuova Costituzione fosse stata approvata, in autunno, o forse in quella stessa estate, l’uguaglianza fra loro sarebbe stata ufficiale e la loro unione legittima.

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Eloise, china sul libro di sua madre, ripensava a tutto questo ed ai primi incontri con Emile, all’ostinazione della madre nell’ostacolarli, alla loro intesa perfetta. Portò istintivamente le mani al ventre, pensando al segreto che custodiva. Un abominio agli occhi del mondo, un dono prezioso agli occhi di una madre. Avrebbe dovuto confessare il loro segreto ad Emile, e condannare entrambi all’infelicità? O avrebbe dovuto tacere, vivendo la sua felicità di futura sposa e madre ma logorandosi in solitudine per l’inconfessabile peccato che dai genitori era ricaduto sui figli?

Un alito di vento le si insinuò sulla pelle sudata, ed un brivido le attraversò la schiena. Lentamente si alzò per chiudere la finestra aperta. Era settembre, ma iniziava già a fare freddo. Girò lo sguardo verso il camino, pensando che avrebbe dovuto far pulire quelli dell’intera casa, per metterli presto in funzione in vista dell'inverno. Fu un istante: come una folgore un’idea le attraversò la mente, e seppe cosa fare.

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Poco prima che fosse servito il pranzo, la porta della stanza di Eloise si spalancò. Emile, raggiante di felicità, corse ad abbracciarla e facendola roteare in aria le disse “La Costituzione è ufficiale! Il plebiscito l’ha approvata! Adesso posso sposarvi amore mio!”. Eloise sorrise e lo strinse forte a se.
“Ho anche io una bella notizia per Voi” gli disse guardandolo negli occhi, arrossendo mentre portava una mano al ventre. Emile cadde in ginocchio, le baciò il ventre e colmo di felicità la strinse a se “Voi mi rendete l’uomo più fortunato del pianeta!”. Un velo di tristezza calò sugli occhi di Eloise. “Eloise, ma chère, che succede?!”. “Pensavo a come il destino, a volte, si prenda gioco di noi. Adesso andiamo, Emile, il pranzo è servito” e tendendogli la mano lo condusse fuori dalla stanza. Lo sguardo di Emile cadde sul camino, dal quale si levava un filo di fumo. “Che cosa hai bruciato, ma chère?”. “Nulla, solo vecchie carte prive di utilità, mio tesoro.”

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