Questo racconto è stato scritto per partecipare a Theneverendingcontest n° 14 S4-P3-I1 di @spi-storychain sulla base delle indicazioni del vincitore precedente @road2horizon
Tema: Filosofia infantile
Ambientazione: Asilo
Non tutti dobbiamo essere uguali!
Tancredi era un bambino diverso dagli altri compagni di classe di Matteo, e non solo perché il suo nome era poco diffuso e quasi difficile da pronunciare.
Il primo giorno di scuola materna la maestra Teresa aveva annunciato ai suoi bambini che sarebbe arrivato un compagnetto in più rispetto all’anno precedente, e che era un bambino speciale, con una sua maestra speciale che lo avrebbe aiutato in classe in tante cose, ”… quindi, mi raccomando, trattiamolo bene!”. Era quindi entrato Tancredi, ancora per mano alla sua mamma, una donna alta e magra con l’espressione un po’ apprensiva. A Matteo quel bambino magrolino e allampanato, dallo sguardo sfuggente e sempre basso, rossiccio e pieno di lentiggini, era piaciuto subito, ed era stato felice che la maestra lo avesse accompagnato proprio nel posto accanto a lui. Tancredi non parlava molto, anzi, non parlava affatto. Sapeva dire solo si, no, e poche altre parole. Per tutto il tempo, mentre gli altri bambini giocavano o coloravano, lui se ne stava nel suo banco, dove la maestra Claudia si occupava solo di lui con dei giochi speciali. A Matteo a volte sembrava un po’ stupidino, perché non riusciva a mettere le forme ed i colori al posto giusto, ma quando ci riusciva riceveva un premio. Matteo aveva quasi cinque anni, ormai era grande, queste cose le sapevano fare tutti già all’altro asilo, una vita fa, quando avevano tre anni, ma Tancredi non ci riusciva.
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Ogni tanto la maestra Claudia lo portava in bagno, solitamente quando nessuno degli altri bambini era lì, ma una volta Sofia aveva sussurrato a Giada che la maestra andava in bagno per cambiargli il pannolino! Matteo non poteva credere che Tancredi avesse ancora il pannolino, così una volta glielo chiese direttamente: <<Ma tu porti il pannolino?>>. Tancredi sollevò un attimo lo sguardo, poi rispose semplicemente <<Si!>>, tornando subito a fissare la superficie del banco. <<Perché?>> fu la spontanea reazione di Matteo. "Mi scappa." fu la semplice risposta.
Matteo aveva imparato a capire e rispettare i silenzi e la timidezza di Tancredi, ma quando aveva raccontato a sua madre del nuovo amico, lei non ne era stata per niente contenta. Una sera, dopo essere stato messo a letto, si era alzato per fare di nuovo pipì e l’aveva sentita dire a papà, tutta arrabbiata: << … ci mettono questi piccoli mostriciattoli insieme ai nostri figlioletti! In manicomio li dovrebbero portare! Quello farà certo qualcosa di strano, prima o poi, te lo dico io. Tutte le mamme stanno lì a compatire e a coccolarlo, ma a me da veramente fastidio che solo perché paga può stare accanto a Matteo! E se lo influenzasse negativamente? Insomma, lo so che l’autismo non è contagioso, ma se con i suoi programmi speciali e le maestre speciali ed i trattamenti speciali rallentasse il resto della classe?!>>. <<Non ti sembra di esagerare, Olga?! Sono solo bambini, e le maestre sanno fare il proprio lavoro. Quel povero piccolo avrà già un sacco di problemi per tutta la vita, lascia che almeno per adesso impari a stare con altri bambini.>>. Rispose il papà. <<Tu non capisci niente!>>. Fu la risposta di Olga.
Matteo non capì molto di questa conversazione, se non che il suo compagno di banco aveva una malattia, ma che non era come la varicella, che se stai vicino a qualcuno che ce l’ha viene anche a te, ma come il tumore che aveva avuto il nonno e ci puoi stare accanto senza che succeda nulla. La mamma e papà, anzi, raccomandavano a Matteo di stare più vicino possibile al nonno quando aveva il tumore, perché poi doveva partire per un lungo viaggio in cielo e non lo avrebbe più rivisto. Forse anche con Tancredi avrebbe potuto trascorrere più tempo, perché chissà, magari un giorno doveva partire anche lui.
Col passare dei mesi, Matteo e Tancredi fecero amicizia ed iniziarono a giocare insieme di tanto in tanto, aiutati dalla maestra Claudia che incoraggiava questa simpatia. Tancredi, poi, imparava ogni giorno qualche parola nuova, ed ogni tanto si riusciva anche a chiacchierare un pochino. Amava gli aereoplanini, era bravissimo a smontarli e rimontarli perfettamente, anche se continuava ad avere difficoltà ad inserire il triangolo verde o il quadrato giallo nel posto che spettava loro quando la maestra lo faceva esercitare coi suoi “compiti speciali”. Matteo avrebbe tanto voluto vedere gli aeroplanini di Tancredi, ma sua mamma non voleva che andasse a casa dell’altro bambino, tranne che per la sua festa di compleanno, e si sa che in quelle occasioni i genitori prendono alcuni giocattoli ed alcune zone della casa e le chiudono a chiave, così che i bambini non vadano a curiosarci e rompere qualcosa. E poi ai compleanni non c’è intimità, in che modo un bambino timido come Tancredi avrebbe potuto isolarsi dalla propria festa per mostrargli i suoi giocattoli?
Un giorno, però, la maestra disse a Matteo che doveva cambiare banco. Al suo posto si sarebbe seduto Paolo, che però non voleva affatto bene a Tancredi, non ci aveva mai giocato e non faceva altro che parlare a raffica senza ascoltare. Di sicuro avrebbe confuso le idee a Tancredi. Matteo tornò a casa molto deluso ed arrabbiato e raccontò subito tutto alla mamma, dicendole che voleva tornare a stare accanto a Tancredi, che non era giusto che lo avessero spostato. La mamma rispose stupita: <<Ma come, Matteuccio, ti piace stare con quel bambino così tetro? Non parla, non sa fare le vocali come te, non ti guarda nemmeno negli occhi ed ha bisogno della maestra di sostegno! Non pensi che per te sia meglio stare con bambini normali?>>. <<Non è vero, mamma! Tancredi con me parla e gioca! Sono gli altri che non lo capiscono! Io e la maestra Claudia ci divertiamo tanto con lui, ed è un mio amico! E poi, lui è speciale e a me va bene se non è come gli altri! Mica in questo mondo dobbiamo essere tutti uguali!>>.
Liberamente ispirato ad una storia vera.