Le nostre parti interne vanno ascoltate

Ogni persona dentro di sé ha diverse “parti interne” che intervengono in tutte le situazioni della vita. Queste singole parti, insieme, vanno a costituire quello che L. Scarpa definisce il proprio “team interno”: tutte le parti interne dicono qualcosa di noi e a turno ci rappresentano. Ogni parte, anche quella che ci sembra agire contro il nostro benessere, ha un ruolo positivo all’interno del nostro sistema e vuole qualcosa per noi. Il nostro compito, nel ruolo di registi di noi stessi, è quello di dare ascolto a tutte le parti interne per capire cosa ci comunicano, per arrivare a un compromesso, senza combattere o ignorare quelle che amiamo meno, ma cercando la collaborazione di tutte per il fine comune, che è il bene-stare della persona.


Il disegno è di mia proprietà

Per fare un esempio pratico e abbastanza comune alla maggior parte delle persone, le parti principali che ci caratterizzano sul lavoro sono la parte critica, la parte creativa e la parte attiva. E abbiamo bisogno di tutte loro per funzionare al meglio. Infatti immaginate se ci fosse solo il cinico critico: probabilmente non partiremmo mai con i nostri progetti, troppo impegnati a preoccuparci, ad esporre le nostre obiezioni, a pensare che probabilmente ci sono soluzioni migliori e guardandoci in giro per vedere se l'erba del vicino è sempre più verde. Se invece ci fosse solo il fantasioso creativo forse penseremmo solo in astratto, formulando grandi idee ma senza passare alla pratica, passando il tempo a fantasticare e immaginare scenari possibili. Infine se ci fosse solo la parte attiva saremmo animati da una continua spinta verso il fare, caratterizzati probabilmente dalla tipica ansia da prestazione, impegnati a ricercare la quantità al posto della qualità.

Quando lavoriamo queste tre parti collaborano insieme e intervengono alternativamente a seconda delle situazioni, portando continuamente il loro apporto. Come potete vedere se una di loro prevalesse sulle altre potrebbero crearsi situazioni di disequilibrio e inefficienza: pensiamo, per esempio, se ci fermassimo ad una fase critica senza più essere capaci di prendere una decisione e di passare all’azione: ci troveremmo in una situazione di stallo, tipica del "blocco dello scrittore". E’ necessario dare a tutte le parti il loro giusto spazio e la possibilità di esprimersi, perché ognuna di loro contribuisce, dal suo punto di vista, alla riuscita del lavoro che stiamo svolgendo. Soprattutto se sentiamo una situazione di disagio o insoddisfazione è utile ascoltare le diverse parti di noi, per fare chiarezza, impedendo ad una sola di prendere il comando.


Immagine CC0 creative commons
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Potrebbe essere utile riflettere sui seguenti punti stimolati dall’approccio di L. Scarpa:

→ attenzione a quali sono le nostre regole personali: per esempio, se la nostra parte critica è particolarmente esigente tanto che è riuscita a far diventare la nostra regola base quella di “essere perfetti”, allora sarà piuttosto difficile essere soddisfatti di noi stessi rispondendo sempre in modo brillante a questa notevole aspirazione. Si potrebbe allora, cercare di cambiare regola: se per esempio affermiamo che il nostro modello standard è quello di “fare sempre del nostro meglio” la questione assume un’altra prospettiva: possiamo lavorare su noi stessi non offendendoci se qualcuno ci fa notare un errore, non pensando di essere dei falliti se è stata scelta la proposta di un collega anziché la nostra, non andando in panico di fronte ad un imprevisto. Allo stesso modo dovremmo imparare anche ad esprimere le nostre aspettative/bisogni secondo il lato verde della comunicazione, dicendo come ci sentiamo e quello che proviamo;

→ ricordiamo che il 10% della massa cerebrale si occupa della percezione, il 90% del pensiero. Nelle scimmie antropomorfe è esattamente il contrario: siamo gli unici esseri viventi che contrappongono al dato la riflessione sul dato;

→ se ci sentiamo attaccati molto spesso questa sensazione è imputabile alla percezione che noi abbiamo di noi stessi: dobbiamo imparare a non svalutarci a tal punto da farci maltrattare, non facciamo le vittime lasciando il nostro bene-stare nelle mani altrui;

→ attenzione alle regole non dette: la qualità della nostra vita può essere resa diversa dalla descrizione che diamo a determinati vissuti: per esempio se pensiamo che essere timidi corrisponde ad un aspetto spiacevole del comportamento umano allora la “timidezza” avrà per noi una connotazione negativa. Ma possiamo imparare a dare alla timidezza un valore diverso, per esempio “riservatezza”: in questo modo l'approccio a questa caratteristica del carattere cambierà;

→ pensiamo all'importanza di dare un feedback: dare un feedback significa dire quello che pensiamo in modo oggettivo, senza nessuna sfumatura offensiva, con i modi che noi vorremmo che gli altri usassero con noi. Il feedback è descrittivo, concreto, localizzato nel qui ed ora e dovrebbe avere la dimensione dell’appello. Quando lo riceviamo non cadiamo nella tentazione di giustificarci, che ci impedirebbe di ascoltare veramente e di trarne vantaggio: se abbiamo costantemente paura di sbagliare e di essere criticati perché abbiamo una bassa stima di noi, non avremo più il coraggio di esprimere nuove idee, di fare proposte innovative: non dobbiamo vedere gli insuccessi come fallimenti, ma come tentativi, come sfide per imparare.

→ riflettiamo sulle doverizzazioni che generalmente imponiamo a noi stessi obbligandoci a fare delle cose per forza: devo fare quella telefonata, devo andare da mia madre, devo parlare col collega di quella certa cosa. Se credo al “devo” credo anche di non avere scelta, ovvero viene a mancare la libertà delle alternative. Sarebbe utile invece indagare su quali sono i bisogni che si nascondono dietro ai nostri “devo”: ”è meglio fare quella telefonata per chiarire la situazione”, “preferisco andare a trovare mia madre perché so di farle piacere”, “prima parlo col collega e prima risolvo quel problema lavorativo”. Se riusciamo a fare questo passaggio di trasformare le doverizzazioni in pensieri positivi probabilmente riusciremo a fare quello che facciamo meno malvolentieri: spesso ci sentiamo vittime perché non vediamo che non siamo disposti a pagare il prezzo dell’alternativa. Esempio “preferisco fare lo sforzo di una telefonata spiacevole per chiarire quella data situazione che mi sta a cuore perché so che dopo starò meglio” ovvero “non sono disposto a pagare il prezzo di mantenere la situazione cosi com’è”.


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Fonti:

Il testo è ispirato alle dispense e alle lezioni della professoressa Scarpa

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