Può un mockumentary demenziale essere una delle più alte forme di denuncia della società in cui viviamo?
Può una serie tv fatta da ragazzi e di ragazzi portarci nel cuore dei dilemmi e delle contraddizioni del nostro tempo?
Può un prodotto che parla di "banditi della cacca" e "disegnatori di peni" essere un esempio di altissima qualità in campo televisivo?
La risposta è si ed ha un nome preciso:
American Vandal
E' ancora una volta Netflix a lasciare il segno. un segno profondo nella serialità contemporanea.
Ancora più sorprendente se si pensa che American Vandal altro non è che una sorta di profonda parodia di un altro grande prodotto targato Netflix come "Making a Murderer". In quel caso giornalisti professionisti tornavano su un episodio giudiziario controverso che aveva visto la condanna di un uomo che i fatti dimostravano essere innocente quasi oltre ogni ragionevole dubbio. Le telecamere di Netflix provarono ad entrare dentro case e dinamiche di una contea che pareva essersi dimenticata di aver arrestato una persona innocente. E da li partì una bellissima indagine che cercava di scagionare il condannato attraverso la ricerca di prove circostanziali o meno e di interviste a tutti i personaggi interessati.
In American Vandal si reitera la stessa cosa ma stavolta si prova a scagionare qualcuno "incastrato" dalla società in cui vive (in questo caso la scuola ed il mondo che orbita intorno ad essa) solo perchè troppo vivace o troppo emarginato. La pena è ovviamente minimale rispetto ad un ergastolo o una condanna a morte ed il reato anche laddove si passa da un omicidio ad un atto di vandalismo demenziale come potrebbe essere quello di disegnare "piselli" su 27 auto o di causare diarrea incontrollabile a studenti durante l'orario di pausa in mensa.
Da un lato questo ha permesso agli autori di creare una serie divertente e surreale ma dall'altra è riuscita a colpire in maniera potente l'ipocrisia dell'essere umano e la contraddizione che oggi alberga in ognuno di noi.
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Oggi puntiamo il dito contro chi è diverso e quando accade qualcosa di tragico o illegale siamo ancora più pronti ad accusare il diverso sia essa una persona fuori dagli schemi o una persona particolarmente anarchica o polemica. Se qualcuno oggi non ci sta a genio basta poco a metterlo nei guai.
Basta un tweet, basta un post per lasciare una traccia.
Questo è un superbo livello di lettura che la serie offre ma forse non è il solo e non è il migliore.
Soprattutto nella seconda stagione emerge chiaramente come i social oggi stiano diventando pericolosi.
Rintanati come siamo nelle nostre mille identità finiamo per essere disposti a tutto pur di proteggerle, anche a costo di accusare persone innocenti.
Faremmo di tutto per difendere la nostra immagine social. Faremmo di tutto per apparire iperconnessi. Faremmo di tutto per risultare i più seguiti.
In questo sforzo perpetuo finiamo per restare soli. Una solitudine quasi mai fisica ma interiore. Abbiamo cosi tanti followers da non avere veri amici.
Collezioniamo cosi tanti like da non piacere davvero a nessuno e cosa ancor più grave da non piacere neppure a noi stessi.
Siamo la prima generazione a poter confezionare ed impacchettare il nostro IO e spedirlo a tutti con un click.
Nell'epoca della post-esistenza e della post-verità nulla è come sembra e nessuno è al sicuro.
La denuncia di American Vandal è potentissima ed il botto che risuona dagli ultimi 10 minuti della seconda stagione è fragoroso.
Un'operazione convincente ed intelligente che si maschera da teen product demenziale per emergere come opera magna sul genere.