Che un regista iconico e identitario come Spike Lee non fosse mai stato candidato all'Oscar è qualcosa che dovremmo chiedere all'industria cinematografica hollywoodiana per anni ma che probabilmente riusciremmo a chiarire solo sul lettino di un terapista.
Non è difficile capire, però, perchè la prima nomination all'Oscar per il regista Newyorchese combaci con Blackkksman, ultima fatica del tifoso per eccellenza dei New York Knicks.
BlacKKKsman non è solo un grandissimo film ma è soprattutto un film che cade al momento giusto e nel posto giusto.
Una storia vera e incredibile dove ci son dentro tutti gli elementi che in questo periodo storico mandano in estasi produttori e critici cinematografici statunitensi. KuKuxKlan, black power, discriminazione, lotta, affermazione, divisione, integrazione e tanti attori di colore.
10 anni fa un film del genere sarebbe finito nella categoria dei film belli ma improponibili ai festival e nelle rassegne a premi più importanti. Oggi si manifesta come titolo imprescindibile, da nominare, osannare e persino premiare, come avvenuto nella notte degli Oscar del 24 febbraio scorso dove la pellicola è stata insignita della statuetta come miglior sceneggiatura non originale.
E la storia è davvero folle. Siamo a Colorado Spring, comunità che più bianca non si può, dove il KKK incendia croci regolarmente e dove per la prima volta un agente nero viene assunto per provare a dare un segnale di inclusione.
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Sarà proprio quell'agente a dare vita ad un caso contro il KKK che ha dell'incredibile.
Nonostante una voce ed un aspetto che non combaciano esattamente con l'adepto KKK per definizione egli riesce ad infiltrarsi, a contattare e stringere accordi con i vertici del KKK locale ed addentrarsi, grazie ad un agente bianco interpretato da Adam Driver, nelle file dell'organizzazione fino a risalire tutta la gerarchia nazionale.
Una storia vera incredibile che fa emergere tutta l'ignoranza e la non sussistenza dietro l'odio razziale, dietro l'odio in generale, dietro la discriminazione.
Esponenti di spicco del KKK, che riescono ad aizzare folle, ma che per mesi non riconoscono un agente nero ma che anzi si vantano con lui di riuscire a capire se dall'altro lato della cornetta vi è un "negro" solo dalla voce. Loro hanno una voce unica, impossibile da non riconoscere.
Si odia qualcuno senza sapere perchè. Lo si fa per diletto, per ignoranza, per provare a creare proseliti e dunque avere potere sulle masse, per indirizzarle ma mai e poi mai quell'odio è giustificabile.
Come se ce ne fosse bisogno di ricordarci che l'odio non va mai coltivato, mai giustificato.
E allora arriviamo alle immagini finali, quelle che ci riportano al 2017 e ai tremendi eventi di Charlotesville, che sembrano usciti da un filmato preso in archivio, da un filmato di 40 anni fa e che invece ci parlano di come sia diventata l'America oggi ed in generale il mondo (basti pensare alla nostra povera Italia), dove suprematisti bianchi possono marciare indisturbati, issare svastiche e bandiere sudiste senza che le autorità o che il capo in comando alla Casa Bianca sollevino dubbi o condannino alcunchè.
I camici bianchi del KKK non sono mai stati cosi vicini a fare nuovamente capolino.
Spike Lee sembra volerci avvisare.
Prima che sia troppo tardi.