Operazione fuga [theneverendingcontest]

Io e Salvo ci conosciamo da sempre, siamo cresciuti insieme sullo stesso pianerottolo di questo fatiscente palazzo, mai finito di costruire, in uno dei peggiori quartieri della città. I nostri genitori con famiglie a seguito avevano occupato l'edificio armeggiandolo come una casa, o come una piccola fortezza, a seconda dei punti di vista. Salvo aveva due anni più di me e finchè eravamo piccoli correvamo inconsapevoli tra corridoi in rovina e scale pericolanti. Solo crescendo capimmo di far parte di una comunità segregata dalla società, eravamo un clan che basava la sua vita su attività illecite e illegali. Spesso arrivava la polizia a sirene spiegate, spesso la sera qualcuno mancava all'appello, spesso le persone camminavano con un arma in mano. Sapevamo che non era la normalità, ma era il nostro mondo. Mio padre era morto molto tempo prima pensando di arricchire la famiglia smistando denaro falso ma finì male. Mamma rimase forte per un breve periodo, poi iniziò a bere troppo e a ricevere uomini in casa. Io avevo dieci anni e passavo le mie giornate a casa di Salvo, sua zia preparava sempre un piatto di pastasciutta anche per me.
Qualche anno dopo mamma se ne andò con un uomo del quale era rimasta incinta senza neanche salutarmi. Mi lasciò un biglietto: “Perdonami” diceva.
Da quel momento diventai “grande” ancora più velocemente. Un giorno mentre andavo a scuola incontrai Salvo che correva come un pazzo dalla parte opposta. Mi venne vicino e mi passò un pacchetto intimandomi di nasconderlo. Feci appena in tempo a metterlo sotto la giacca che lui si perse tra i vicoli rincorso dalla polizia. Non lo vidi per due giorni e pensai al peggio, ma poi tornò. Affamato come un lupo mangiò per due e volle il suo pacchetto indietro.
-E' coca- mi disse -la venderò bene-.
Non volevo entrare in quel giro e glielo dissi, e non volevo che ci entrasse neanche lui.
-Sei un illuso- mi rispose -cosa vuoi che facciano quelli come noi?- e mi diede un gran pacca sulla spalla.
Sapevo che si faceva, ma non mi sembrava così grave.



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Io cercavo di stare fuori dai guai, andavo a scuola e lavoricchiavo da Duccio, il fruttivendolo del quartiere, che anche lui tanto santo non era, ma aveva un cuore grande e mi fece da fratello maggiore. Mi chiamavano il “postino” o il “deposito bagagli” perchè mi usavano per recapitare messaggi o pacchi vari, però stavo alla larga da qualsiasi coinvolgimento personale.
Ma la situazione era destinata solo a peggiorare: una sera tornai a casa tardi e trovai Salvo disteso per terra in una pozza di sangue. Per fortuna era meno peggio di quel che sembrava, ma l'avevano pestato per bene. Lo portai a casa, lo lavai e gli misi una busta di piselli congelati sull'ematoma che aveva in faccia, poi lo vegliai tutta la notte per paura che morisse. Quando si riprese ricominciò i suoi malaffari come prima, come se niente fosse, senza nessuna spiegazione. Il giorno dei miei 16 anni venni chiamato dall'ospedale Santa Teresa come persona da chiamare in caso di emergenza da parte di Salvo. Era stato ricoverato per un'overdose di coca tagliata male e salvato per miracolo.
-Come stai?- gli chiesi stupidamente quando aprì gli occhi.
-Sono così stanco- sussurrò -non vorrei morire senza aver visto Parigi- e perse coscienza di nuovo.
Mi tornarono in mente le sue parole “cosa vuoi che facciano quelli come noi?” e decisi in quel momento che “quelli come noi”, per restare vivi, non potevano far altro che andarsene, fuggire via, lontano da questo letame. Prima di ripensarci uscii con passo deciso dall'ospedale e comprai due biglietti aerei per Parigi, ormai con le compagnie low cost perfino io, con i miei risparmi, potevo permettermi quel viaggio. Passai per casa e riempii due zaini con cose mie e di Salvo. Sua madre mi vide e probabilmente capì perchè mi guardò con occhi lucidi ma riconoscenti. L'abbracciai.
In pochi giorni Salvo si riprese ed era pronto per uscire dall'ospedale, Duccio venne a prenderci con la sua macchina scassata.
-Che onore- disse Salvo -anche il tassista abbiamo! E poi cosa hai organizzato? Una festa a sorpresa?-.
-Come hai fatto ad indovinare?- risi. Onestamente, non sapevo come avrebbe reagito alla mia sorpresa.
-Dove stiamo andando?- chiese infatti agitato.
-Alla festa!- lo incoraggiai con un finto pugno sulla spalla.
Quando fummo all'aeroporto Salvo mi guardò stupito.
-Ti dico solo una parola: P A R I G I- gli dissi con tutto l'entusiasmo che potevo.
-Tu sei pazzo-.
-L'hai detto tu, almeno una volta a Parigi prima di morire-.
Di fronte a tutti i suoi dubbi lo tranquillizzai dicendo che avevo un po' di risparmi e che Duccio mi aveva dato dei contatti oltre a una grande dritta per un lavoro. Solo dovevamo chiamare un tale Antonio che aveva un grande debito nei suoi confronti e per questo ci avrebbe aiutato.
Cosi ebbe inizio la nostra fuga che ci portò direttamente al parco divertimenti più bello d'Europa: il Disneyland Paris. Li lavorava Antonio, un ex poliziotto corrotto, che ci accolse e ci fece da guida in città per due giorni. -Devo molto a Duccio, è grazie a lui se adesso sono qui- ci confessò una sera. Poi, come avevo intimamente sperato, ci disse che poteva trovarci un lavoro. Salvo dimostrò un'iniziale e ferrea opposizione a questa idea, opposizione che io abilmente smontai pezzo per pezzo fino a fargli credere che un'altra vita era possibile, che fuggire a volte era necessario per assicurare la propria sopravvivenza, che valeva la pena almeno provarci. Cosa avevamo da perdere? La topaia in cui vivevamo? La paura di morire ogni giorno? L'estasi di un'ora?



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Vi mentirei se vi dicessi che fu facile, ma adesso, a distanza di un anno da quel momento, non posso crederci: siamo qui, a Disneyland, nella Place des Frères Lumière, Front Lot, a fare i performers per il pubblico. Ogni due ore scatta l'"operazione fuga”: io, Salvo e altri due colleghi, travestiti da Banda Bassotti, insceniamo una rapina e scappiamo con tre sacchi pieni di denaro inseguiti da Topolino e Pippo. Fuggiamo facendo una gran confusione, coinvolgendo il pubblico e i bambini, rotoliamo per terra perdendo monete di cioccolato mentre Pippo inciampa ad ogni passo nelle sue lunghe scarpe. Solo Topolino riesce a raggiungerci esibendosi in rocambolesche capriole tra gli applausi di tutti i presenti. Poi giochiamo con i bambini e scattiamo milioni di foto con le famiglie.
Salvo non lo ammetterà mai, ma io vedo che è felice.



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In partecipazione a:
theneverendingcontest n° 11 S1-P3-I1 – Contest di @spi-storychain



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